venerdì 1 agosto 2014

2 agosto, la riflessione di uno storico

Il documento rintracciato nell'Archivio Centrale di Stato e qui visionabile all'interno del Primo Museo Virtuale del Porrajmos (la parola che indica il genocidio dei rom e dei sinti) in Italia, dimostra in maniera inequivocabile che nel 1942, nel Terzo Reich, rom e sinti furono equiparati agli ebrei e come loro sottoposti alla legislazione razziale che significava essere destinato allo sterminio fisico.

La fase definitiva di quel percorso di sterminio per i rom ed i sinti giunse ad Auschwitz, il 2 agosto 1944. In tale data, in particolare ad Auschwitz e nel mondo si commemorano con celebrazioni specifiche il ricordo delle vittime rom e sinti. Piero Terracina, prigioniero ebreo italiano in quello stesso campo, ha testimoniato cosa avvenne in quella notte: la liquidazione degli ultimi tremila prigionieri dello Zigeunerlager di Birkenau.

Se da un lato la commemorazione delle vittime è doverosa e necessaria (anche se dovremmo a lungo riflettere che sempre ad Auschwitz, dove il 2 agosto si ricorda la “notte degli zingari”, il percorso del museo non propone ancora la visita alla splendida mostra dedicata al Porrajmos presente in uno dei blocchi, da quasi un decennio), dall'altra è stata recentemente diffusa la richiesta di riconoscimento del 2 agosto come “giorno della memoria” del Porrajmos. Giunti a settant'anni da quell'evento, mi pare che una simile proposta rischi di cadere in errori più volte commessi da quando è iniziata la riflessione su questo tema.

Oggi il problema da affrontare non mi pare sia quello della commemorazione istituzionale (solo in Italia sono ormai centinaia le giornate dedicate a “memoria di eventi o di vittime”), quanto attivare forme e percorsi di conoscenza comune dei fatti, da costruire al di fuori di steccati etnici o di fazione che sembrano inasprire solo il confronto tra le vittime, piuttosto che generare riflessione tra coloro che furono dalla parte dei carnefici.


Mi pare che la questione cui dare soluzione non sia creare uno specifico ed ulteriore giorno della memoria, ma fare in modo che quella vicenda e la sua data simbolica entrino nei manuali di storia, perché non si costruisce alcuna reale memoria in assenza di una puntuale e diffusa ricostruzione dei fatti. Ecco perché la richiesta di ottenere un “proprio” Giorno della Memoria il 2 agosto potrebbe addirittura rivelarsi una clamorosa autorete, dopo anni d'impegno per far conoscere il genocidio di rom e sinti in Europa.

La storia di ebrei, rom, sinti e di ogni popolazione non deve essere gestita come “storia etnica” divisa da quella degli altri, ma come componente di una storia comune europea che ha bisogno di questa prospettiva unitaria per mettere in evidenza il dato forse più importante per il presente: la relazione di potere intervenuta nei rapporti tra comunità maggioritaria e minoranze “resistenti” e gli effetti causati da questo rapporto asimmetrico sulla storia sociale del continente.

Dagli anni Duemila i governi europei (e in particolare l'Italia) hanno istituito centinaia di date di ricordo, memoria e commemorazione soprattutto in nome di un distorto e parziale uso (pubblico) della storia; non credo che il “giorno specifico della memoria di rom e sinti” possa sfuggire a questo stesso destino.

E' invece necessario e urgente pretendere che del Porrajmos si faccia menzione nella legge nazionale che fa del 27 gennaio, praticamente in tutti gli Stati europei, «il Giorno della Memoria».
In Italia in particolare sono due gli obiettivi primari:
1. la data del 2 agosto 1944 scritta nei manuali di storia per narrare del Porrajmos;
2. l'introduzione di un riferimento al Porrajmos nella legge n.211/2000 che ha dichiarato il 27 gennaio come Giorno della Memoria, ma che ancora non fa cenno della persecuzione e distruzione di rom e sinti d'Europa.

Quel 27 gennaio non serve alle vittime che sono già ben consapevoli di quanto subirono i propri cari, ma è necessario per chi fu tra i carnefici perché ci si ponga di fronte a quel percorso di distruzione e negazione della vita umana in nome di riferimenti razziali (i medesimi strumenti adoperati sono tuttora attivi a livello sociale nel presente). Quel percorso non fu applicato una volta agli abrei, una ai rom e sinti, una ai disabili… Ma fu tenuto insieme, per tutti, da in nome di una medesima logica che gli storici marchiano come “la logica Auschwitz”.

Potremmo oggi parlare di Porrajmos senza considerare il ruolo centrale della testimonianza dell'ebreo Piero Terracina? Potremmo dimenticare che il libro mastro con i nomi degli internati del «campo degli zingari di Auschwitz» fu salvato dall'azione di due prigionieri politici polacchi? Possiamo recepire tutto questo come memorie diverse e distinte?

E si può affermare un «mai più» per la Shoah senza costruire un «mai più» per tutte le altre categorie di internati? E come farlo nel presente?


Abbiamo estremo bisogno di costruire questa memoria non per addizione di singoli giorni della memoria, ma tutti insieme, a partire dalla medesima condivisione di conoscenza delle tappe storiche ed in un unico Giorno della Memoria. Se anche noi ci autoghettizziamo all'interno di un ragionamento legato comunque alla categoria etnica, ripercorrendo in definitiva le categorie elaborate dai carnefici, faremo solo un immenso piacere ai revisionisti: cancelleremmo la memoria credendo perfino di star facendo qualcosa per affermarla. di Luca Bravi

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